Per cambiare punto di vista vi incollo questo interessantissimo articolo sul controllo societario del colosso coreano.
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Samsung, litigano gli eredi del colosso asiatico
Andrea Goldstein[/SIZE]
Lotta di potere all'interno della dinastia Lee per il controllo di Samsung, il colosso sud coreano che per il 2012 si attende profitti per 26 miliardi di dollari. La fortuna del gruppo poggia ancora sul modello dei conglomerati, chaebol, nati con la ricostruzione e tutt'ora attivi.
16 maggio 2012 - 10:25
Nella cultura confuciana, la pietas filiale è alla base di ogni condotta umana, e le funzioni che il figlio primogenito svolge alle esequie del padre e alle successive commemorazioni sono quanto mai simboliche del passaggio del testimone del capofamiglia. Quando Lee Kun-hee, il settantenne chairman di Samsung, ha affermato di non aver mai visto il fratello maggiore Lee Maeng-hee svolgere queste funzioni, tutti hanno capito che la lotta per il controllo del gruppo Samsung (fondato dal padre, il mitico Lee Byung-chull), ha raggiunto un nuovo livello.
Il 12 febbraio Maeng-hee ha chiesto al tribunale di Seul di sequestrare un grosso pacchetto di azioni in Samsung Life Insurance, che controlla Samsung Electronics. La sorella maggiore e i figli di Lee Maeng-hee hanno presentato identica richiesta. Ci sono poi state le perquisizioni alla Samsung, sospettata di aver messo sotto sorveglianza gli uffici del conglomerato controllato dal figlio di Maeng-hee, il gruppo CJ, che a sua volta ha deciso di rescindere una serie di contratti commerciali con la Samsung. A dir la verità il sospetto di aver ecceduto deve aver sfiorato anche Kun-hee, che qualche giorno dopo ha dichiarato che i panni sporchi sarebbe meglio lavarli in famiglia.
Nel complesso, la somma interessata dalla complicata vicenda è straordinaria – un trilione di won, 660 milioni di euro – e non stupisce che i media coreani la seguano con grande interesse. Se l’opinione pubblica internazionale associa immediatamente il marchio Samsung ai prodotti elettronici che hanno permesso alla società di soppiantare la Sony al vertice dell’industria mondiale, per i coreani il nome è molto più presente nella vita di ogni giorno. Ci sono stazioni di servizio dove fare il pieno alla Samsung Renault con la benzina raffinata dalla Samsung Total, pagando con la carta di credito Samsung; le medicine prodotte dalla Samsung e i formulari per le spese mediche da inviare alla Samsung Life Insurance; gli esami d’inglese da sostenere alla Credue e l’abbigliamento da comprare da 8 Seconds, di proprietà della filiale chimica del gruppo, Cheil Industries; e così di questo passo. Fino a qualche anno fa c’erano pure i supermercati Home Plus, una joint venture con Tesco, ma poi gli inglesi hanno comprato la partecipazione della Samsung.
I conglomerati, i chaebol, nacquero negli anni della ricostruzione e sono stati fondamentali per il miracolo coreano. In un paese ancora povero, in cui istituzioni e infrastrutture erano poco sviluppate, i gruppi si sono diversificati dal loro mestiere d’origine, il tessile nel caso della Samsung, sfruttando la propria capacità di eseguire rapidamente progetti complicati. Anche la politica ci ha messo lo zampino, soprattutto durante il lungo regime del generale, poi presidente, Park Ching-hee, convinto che solo sostenendo i chaebol sarebbe stato possibile sviluppare la grande industria pesante in Corea. Quando il paese è diventato più ricco, e soprattutto dopo la crisi asiatica nel 1997 e l’intervento del Fondo monetario che chiese alle autorità di liberalizzare l’economia e lottare contro i monopoli pubblici e privati, molti si erano convinti che la stagione dei chaebol fosse ormai quasi conclusa.
Pronostico che, come tanti a proposito di questo paese così poco conosciuto, si è rivelato errato. Basti pensare che la Samsung Electronics, pur rimanendo parte integrante di un gruppo tanto diversificato, va di successo in successo. Dopo aver pubblicato risultati trimestrali al di sopra delle più rosee aspettative, ha rivisto al rialzo le previsioni per il 2012, quando si attende profitti per 26 miliardi di dollari. Che verranno realizzati in parte dallo smartphone Galaxy 3, lanciato a Londra in gran pompa venerdì 4 maggio e che darà filo da torcere all’iphone, come i telefoni a buon mercato l’hanno dato alla Nokia fino a strappare ai finlandesi lo scettro della marca più venduta al mondo. Ma anche dai chips DRAM e NAND, che la Samsung produce per se stessa ma anche per i rivali, che non potrebbero sopravvivere senza non-memory chips. Un modello di business insomma quanto mai eclettico, in cui convivono integrazione verticale e approccio aperto, attenzione maniacale ai costi e immensi investimenti in ricerca e sviluppo (il doppio che la Sony nel primo quarter) resi possibili dalla forza finanziaria del colosso di Seul.
Anche gli altri grandi conglomerati continuano ad evolvere. SK, il principale player della telefonia (oltre che del petrolio, un mestiere ovviamente del tutto diverso) è diventato anche il secondo più grande produttore mondiale di semi-conduttori. E più di recente si è lanciato a testa bassa nello sviluppo di contenuti multimediali, per alimentare il business telefonico. Altri invece fanno fronte alle difficoltà nel proprio core business con disinvestimenti: il gigante siderurgico Posco vuole uscire dal trading di risorse naturali e ha dichiarato di non considerare più “essenziale” l’abbigliamento; LG prevede di ridurre da 64 a 57 il numero di filiali, vendendo per esempio quella LG Household and Healthcare.
Anche nell’economia globale, insomma, lunga vita ai chaebol! Lo dimostra la nomina di Lee Jae-yong, CEO di Samsung e probabile successore del padre alla testa dell’intero gruppo, a consigliere d’amministrazione della Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli. Senza però dimenticare che il capitalismo famigliare trova il suo limite forse principale nei passaggi generazionali di potere e che per un grosso piatto di lenticchie anche le famiglie più rispettate sono pronte ad affilare i coltelli. Tutto il mondo è paese, come dimostrano casi analoghi in Europa quali l’eredità Betancourt in Francia oppure il controllo dell’Essalunga in Italia.
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